mercoledì 19 giugno 2013

SIRIA: CRISTIANI SCOMODI (GEO-POLITICAMENTE)

Di Ilaria De Bonis
da Popoli e Missione

"Mio zio ad Homs ha perso la casa, è dovuto scappare all'improvviso ma non ha lasciato la Siria; moltissimi cristiani hanno abbandonato le case nelle zone più a rischio, ogni giorno chi rimane sa che potrebbe essere la prossima vittima della guerra". Ma c’è anche chi rimane per scelta.
Il racconto di padre Ibrahim, francescano di origini siriane, in Italia da molti anni e già frate della Custodia di Terrasanta a Gerico, si fa concitato quando descrive lo strazio dei suoi amici e parenti rimasti a Damasco. 
La loro fede pare essersi rafforzata ulteriormente, anche grazie ad una ritrovata solidarietà delle comunità locali.
"Mio fratello ha una casa nella periferia di Damasco ma lì non può tornare da oltre un anno, vive dai miei. E’ uscito una mattina senza passaporto, senza nulla, per paura delle bombe. Sento la mia famiglia quasi ogni giorno perché ho paura per loro. Ogni sera penso: e se domani mi dicessero che non è rimasto più nessuno? Che sono morti tutti? Nel condominio dove abitano a Damasco, delle 12 famiglie che erano, ne sono rimaste tre. Tutte le altre sono scappate. Molti hanno deciso di rimanere, di non fuggire. E’ una scelta coraggiosa: la scelta di stare". 

Ma non la si può imporre né pretendere. Nell'inferno di morte che sta distruggendo la Siria e i suoi abitanti e nella confusione delle centinaia di fazioni ribelli che continuano a far fronte di un regime sanguinario che ha riguadagnato terreno, la storia nella storia e l’inferno nell'inferno è quello dei cristiani cattolici, copti, greco-ortodossi, maroniti. E’ la storia di intere famiglie prigioniere tra l’incudine e il martello. Molte delle quali considerate - e spesso non a torto - “collaborazioniste” del regime di Assad. Ma in realtà, al momento, completamente inermi.

Nati “nel posto sbagliato”
"Se il regime di Bashar Al Assad cadesse domani, non c’è dubbio che gli islamisti prenderebbero il potere e che la vendetta sugli alawiti (il regime degli Assad è alawita, ndr) sui cristiani e i drusi sarebbe orribile. La libertà religiosa in Siria avrebbe fine": così scriveva a dicembre dell’anno scorso Renault Gerraud su Le Figaro. Il giornale libanese on line Al- Monitor Lebanon Pulse ipotizza però anche un’altra ragione dietro l’esodo dei cristiani: la loro posizione geografica. Dice cioè che non esistono solo motivazioni di appartenenza religiosa ed etnica, dietro il loro esodo forzato. Ma ci sarebbero anche motivi geo-strategici.
"Le zone cristiane sono in maggior parte nel Wadi-al-Ouyoun e Wadi al-Nasara che hanno un milione di cristiani e rappresentano la più grande area di continuità dei cristiani nel Medio Oriente. Gli esperti dicono che la loro tragedia consiste nell’essere collocati nel cuore di una disputa che contiene sia aspetti religiosi che economici", scrive Al-Monitor.
"Questi cristiani si trovano sulle rive del fiume Orontes che separa il deserto siriano dalle aree verdi della Siria – si legge -. Contiene rilievi montuosi che sono un’estensione di quelli libanesi e turchi, ed è una zona cuscinetto tra la costa e l’entroterra. Gli alawiti sono tradizionalmente più sul territorio montuoso, mentre i sunniti abitano le zone dell’entroterra e i cristiani fatalmente separano queste due aree. Gli esperti dicono che chiunque controlli le aree cristiane può controllare la guerra in Siria".
Ma c’è ancora un altro aspetto inquietante, stavolta più economico che geografico: "Tutte le linee di trasporto di petrolio e gas dall’Iran e dall’Iraq verso il Mediterraneo passano attraverso queste aree siriane. Circolano anche voci su giacimenti petroliferi non ancora scoperti nell’area abitata dai cristiani, così come a largo delle coste siriane". Un motivo in più per desiderare che le popolazioni che vi abitano, al di là del fatto che siano cristiane o meno, lascino quelle terre. "Per tutte queste ragioni pare proprio che i cristiani si trovino nel bel mezzo di una polveriera e di una tragedia – scrive ancora Al-Monitor - rischiando sterminio e dislocamento. Finora il mondo si è accontentato di monitorare, bisogna che inizi ad agire".

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