lunedì 29 ottobre 2012

Ma che complotto, è una rivoluzione!

Intervista di Ilaria De Bonis a padre Dall'Oglio (Popoli e Missione novembre 2012)
 «In Siria non c’è nessun complotto, c’è una rivoluzione. Ma oggi, e sempre più in modo studiato e cosciente, sono attive delle strutture di manipolazione dell’informazione che si muovono in modo negazionista», spiega padre Paolo Dall’Oglio, che incontriamo a Roma.
Monaco gesuita, rifondatore del monastero siriano di Deir Mar Musa, espulso da Damasco nel novembre 2011, padre Paolo possiede una lucidità d’analisi rara. La sua storia è molto nota e lui da tempo è nel mirino del regime: «La calunnia lavora e lavora bene – dice -; io rischio di pagare un prezzo ecclesiale pazzesco per questo; vengo continuamente additato come il prete dei terroristi, il prete della rivoluzione, il prete politico, il prete schierato, il prete per le armi». In realtà la sua posizione è molto lineare: «La violenza rivoluzionaria è un prodotto della repressione di Stato. La conciliazione nazionale deve avere l’ultima parola, ma non posso negare, e qui ripeto l’insegnamento della Chiesa cattolica, che i popoli hanno diritto a difendersi».
Chiariamo anzitutto un primo punto: perché i ribelli hanno iniziato a combattere?
«Se le persone avessero potuto manifestare liberamente fino ad ottenere i loro diritti democratici, il regime sarebbe già finito da un pezzo, come in Egitto. Ma in piazza non ci sono mai arrivate. Assad ha deciso di militarizzare l’opposizione, spingendo, attraverso la repressione, il movimento popolare a non avere altra scelta. Nella misura del possibile la scelta non violenta è auspicabile. Io non faccio che dire: chi può agire in modo non violento continui a farlo. Ma la maggior parte dei siriani non può. La gente si sta difendendo».
La comunità internazionale, non sostenendo la rivoluzione, di fatto lascia morire civili innocenti.
«Siccome la comunità internazionale ha collaborato col regime nell’obbligare il popolo siriano a prendere le armi per difendersi, non può ora utilizzare l’argomento delle armi per giustificare il mancato soccorso ad un popolo infortunato. Questo è un peccato di omissione gravissimo».
Si sente sempre più spesso parlare di complotti: potenze internazionali avrebbero preparato la rivolta, manovrando e armando i ribelli.

«Una delle più pericolose teorie costruite ad arte parla di un’alleanza tra imperialismo petrolifero e islam fondamentalista salafita. Tra gli alleati ci sarebbero fratelli musulmani e alcuni europei come la Francia. D’altronde qui si va sulle farneticazioni: è difficile descrivere questa caricatura perché è paranoica di natura. C’è sicuramente il progetto di assoggettare la Siria ad una logica di appartenenza comunitario -religiosa e favorire così la divisione del Medio Oriente in Stati di tipo confessionale».
Le comunità cristiane sono in pericolo in Siria? Sono vittime della violenza dell’opposizione sunnita?
«Se è vero che nelle grandi città come Aleppo e Damasco i cristiani siriani hanno vissuto con i sunniti, è vero però che negli ultimi 40 anni sono venuti a formare una specie di sindacato delle minoranze con gli alawiti (setta sciita al potere con gli Assad). E che quindi una parte dei cristiani reagisce come gli alawiti con un desiderio di salvare il salvabile di questo regime. In tal modo si bevono la teoria del complotto. Per convergenza di timori, attitudine islamofoba e paura del popolo musulmano al potere, si cede alla teoria del complotto e si giustifica la resistenza delle minoranze asserragliate nel palazzo degli Assad».
 Cos’è il movimento Mussalah?
«Letteralmente significa Riconciliazione. Questa parola io l’ho usata per la prima volta nel settembre 2011 in un digiuno per la riconciliazione, ad una condizione: il riconoscimento della libertà di opinione e di espressione concreto e pratico, chiedendo a 50mila operatori della comunità mondiale che venissero a sostenere la mutazione democratica della società siriana. Questa richiesta è tranquillamente caduta nel vuoto. E ha portato al mio decreto di espulsione nel novembre 2011 da parte del ministero degli Esteri siriano. Dopo la tragedia di Homs, alcuni sacerdoti in gamba hanno proposto la Mussalah. Infine c’è un terzo movimento che è la strumentalizzazione del secondo, soprattutto in ambiti cattolici favorevoli al regime: il vescovo di Aleppo, il patriarca melchita Gregorios, suor Agnès-Mariam de la Croix e altri dicono che è una terza via tra violenza di regime e violenza rivoluzionaria».
Nel frattempo migliaia di persone continuano a morire. Perché l’Onu non interviene?

«Siamo attualmente in uno stato di omissione di soccorso. Ma c’è un fenomeno più sottile: l’uso del sangue dei siriani per la promozione di interessi geo-strategici confliggenti. La Russia usa il sangue siriano per opporsi alla Nato, la Turchia per opporsi all’Iran, Israele per elidere due nemici in un colpo solo, i Fratelli musulmani sono parte in causa. Ciascuno fa il suo gioco sul sangue dei siriani. Nella guerra i due contendenti pensano di guadagnarci qualcosa. Quindi non si va al negoziato geo-strategico, costituzionale, regionale. Non si gioca il negoziato perché si gioca la guerra».
Cosa fare per uscirne? Sostenere militarmente i ribelli?

«Attualmente l’Onu è inutilizzabile, paralizzata dalla Russia che mette il veto. Quindi ora bisogna fare due cose assieme: far in modo che il regime perda militarmente (ed è qui che mi si accusa di voler fare la guerra, ma questo semplicemente fa parte del soccorso); offrire ai migliori dei ribelli le armi sufficienti per interrompere il bombardamento aereo. Se questo obiettivo strategico si otterrà, il regime comincerà a perdere e ciò porterà ad una nuova disponibilità negoziale. Questo dovrebbe avvenire tramite il canale indiretto Nato: si autorizza un controllo Nato che consente l’avanzata della rivoluzione verso Aleppo. Aleppo diventa la capitale temporanea. Questo dovrebbe favorire un incurvamento della volontà russa e iraniana ed una disponibilità ad una decisione del Consiglio di Sicurezza. E’ la linea che sembra prevalere al momento». (Ilaria De Bonis)

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