(Ilaria De Bonis, da Popoli e Missione di settembre 2012)
Il 23 luglio scorso migliaia di giovani marocchini si sono dati appuntamento in piazza, a Rabat, per denunciare la corruzione del nuovo governo di Abdelilah Benkiran. A distanza di un anno e mezzo dalla prima grande manifestazione il movimento di protesta 20 Febbraio non s’arrende. Sebbene quasi ignorato dai grandi quotidiani occidentali.
Afrik, sito di news con sede in Francia, titolava nel luglio scorso: Maroc: manifestation massive des jeunes. Di questa corposa protesta che traccia rimane sui giornali europei, occupati a tempo pieno con la crisi dell’euro? La silenziosa e costante rivolta marocchina è in effetti tra quelle che l’Occidente non considera Primavere. Sottovalutate sono anche quelle giordana e sudanese, in realtà estremamente significative. I segnali di novità provenienti dai Paesi più defilati dell’Africa appaiono invece monitorati, oltre che da quotidiani tradizionalmente attenti alle lotte sociali come Le Monde (“La corruzione regna sovrana in Marocco” titolava il 25 giugno scorso), da alcune nicchie di informazione on line che dedicano loro ampio spazio.

E’ il caso di Cafebabel, rivista on line paneuropea: <<Le rivendicazioni avanzate dai manifestanti marocchini s’inseriscono nel filone della Primavera araba – democrazia, libertà, giustizia sociale – ma non prevedono l’esilio del re>>. Per questo a noi appaiono meno efficaci o forse solo meno pericolose. <<Diversi sono quelli che in Marocco dicono che il re deve cedere parte del suo potere, senza per questo rivendicare la sua abdicazione>>, ancora Cafebabel. A Rabat, nel luglio scorso, <<i dimostranti urlavano slogan denunciando il primo ministro Benkirane e il suo partito, l’islamico Giustizia e Sviluppo, per non avere fatto abbastanza contro la corruzione e l’aumento del costo della vita>> racconta Afrik.
Nel Marocco di re Mohammed VI la stampa araba non allineata e i blog non smettono di contestare le blande riforme della monarchia. Quella costituzionale promessa dal re non è sufficiente o, quantomeno, va tenuta sotto controllo, dicono. La libertà d’espressione, ad esempio, è ancora scarsa in Marocco.
Nel Marocco di re Mohammed VI la stampa araba non allineata e i blog non smettono di contestare le blande riforme della monarchia. Quella costituzionale promessa dal re non è sufficiente o, quantomeno, va tenuta sotto controllo, dicono. La libertà d’espressione, ad esempio, è ancora scarsa in Marocco.
Emarrakech (sito maghrebino in lingua francese) racconta la storia di un 22enne arrestato per aver pubblicato su Facebook caricature del profeta Maometto con sembianze animalesche. Altro caso più noto è quello del giornalista e vignettista Khalid Gueddar, arrestato per aver <<più volte disegnato caricature dei membri della famiglia reale e dello stesso Mohammed VI suscitando il duro risentimento del Palazzo>>, scrive il blog Rumoridalmediterraneo.
Già condannato a tre anni di carcere per le sue vignette nel 2010, Gueddar rischia di veder revocata la libertà condizionale.
Non va certo meglio in Giordania, considerata dall’Europa tra le monarchie più progredite forse per via dell’occidentalissima regina Rania. Poco prima che scoppiassero le Primavere arabe, Rania era acclamata dai mensili femminili più quotati. Vanity Fair le aveva fatto spazio nell’olimpo delle vip fashion. Glamour l’aveva eletta donna dell’anno 2010 e Forbes la piazzava tra le più potenti. Finché il giornale on line Slate la mise tra le Marie Antoniette del Medio Oriente, assieme ad Asma al-Assad di Siria (alla quale Vogue aveva dedicato un profilo esaltante solo poco tempo prima). Cecilia Attias dalle colonne dell’Huffington Post scrive alla first lady siriana: <<Signora al-Assad, per conto dei suoi figli e del diritto che tutti hanno d’essere ascoltati, lei deve parlare, lei deve prendere posizione!>>.

Ma le first lady d’Oriente sembrano mute. Perfino quelle i cui regimi sono meno compromessi di quello siriano. Di Rania è stato scritto: <<Rania Abdallah, alla nascita Rania Al Yassin, incarna tutte le contraddizioni del Paese del quale è regina. E altre ancora: all’estero è molto popolare e la si considera una delle donne più influenti al mondo, ma certamente non in Giordania>>. In effetti il malcontento giordano non è stato mai percepito come tale in Europa o è stato còlto molto poco.
Eppure lì la protesta prosegue. Nel suo Jordan: spring or not to spring? il sito di Al Jazeera scrive che il movimento di rivolta possiede caratteristiche che altri non hanno: <<La dissidenza è decentralizzata per sfuggire al controllo politico di Amman; le tribù ingaggiano una lotta a favore delle riforme; il re e la regina hanno smesso di essere inviolabili>>. Più interessante ancora (le rivolte arrivano fin nel cuore dell’Africa) è il caso del Sudan, dove i giovani si stanno ribellando alle misure di austerità di Bashir: partita dal campo femminile dell’Università di Khartoum il 16 giugno scorso, la rivolta si è diffusa in seguito all’aumento del prezzo dei carburanti. Il regime risponde con ondate di arresti e con l’uso della forza. The Egyptian Gazette precisa che <<il governo di Khartoum insiste nel proseguire con i suoi piani di austerità nonostante l’opposizione pubblica. Il ministro delle finanze ha fatto sapere che non taglierà le accise sui carburanti>>.
Qualcuno da noi si domanda se non sia il caso di chiamare Primavere (nel senso di rinascite) queste ribellioni riformiste, più che le rivoluzioni risolte in una violenta deposizione del dittatore. D’altra parte non è detto che la metafora delle stagioni sia riuscitissima. Hivos, no profit olandese, ha redatto un report dal titolo This is not a spring, this is a revolution, a proposito di Egitto, Tunisia e Libia. <<La nozione di Primavera è superficiale ed indica un fenomeno passivo. Si tratta di un concetto fuorviante che si riferisce ad un breve momento di transizione che rapidamente cede il passo ad una stagione successiva>>.
A proposito delle rivolte, la cui portata non era stata né còlta nell’immediato né tantomeno anticipata dall’Occidente, OsservatorioIraq scrive: <<Ci sono due ragioni concatenate per cui l’Occidente non è stato in grado di prevedere quello che poi si è manifestato: si è sopravvalutato lo Stato arabo e la sua capacità di riconfigurare le dinamiche stato-società in suo favore, e si è sottovalutata la società civile e la sua capacità di confrontarsi con la cultura della paura tipica di ogni regime.
Oltretutto si sono trascurati anche gli elementi più importanti: la sempre maggior istruzione della popolazione e la nuova consapevolezza politica degli arabi>>.
Oggi, a distanza di mesi e mesi dal cambio dei regimi e subito dopo le elezioni democratiche che si sono tenute un po’ in tutti i Paesi che hanno abbattuto le dittature, l’Occidente, anziché enfatizzare il fattore di novità e di grande trasformazione che la competizione elettorale contiene in sé (organizzazione dei partiti, campagne elettorali, partecipazione popolare, voto, dibattiti, libertà d’espressione), compie un altro errore di valutazione. Negativizza la portata dei risultati elettorali vedendo nella vittoria dei partiti islamici il fallimento della spinta rivoluzionaria dei popoli arabi. Ancora una volta si interpreta la Storia con categorie eurocentriche. La rivoluzione, checchè ne dicano gli analisti politici occidentali, secondo i media arabi non ha affatto ceduto il passo all’inverno della restaurazione islamica: <<sta semplicemente rodando se stessa>>.
Nessun commento:
Posta un commento