Il giallo di Yasser Arafat continua. E somiglia sempre di più ad una spy-story mediorientale: il leader palestinese dell’Olp è stato avvelenato oppure no? Morto a 75 anni in un ospedale militare di Parigi nel 2004, in seguito a quella che sembrò un’emorragia cerebrale, Arafat fa ancora notizia. Confermare la morte per avvelenamento da polonium 210 – come hanno fatto gli scienziati svizzeri e in misura minore anche i russi – significa ammettere che ci sia stato un mandante. L’Autorità Palestinese dice che fu Israele e Israele ovviamente smentisce. Di recente una commissione di esperti francesi ha messo però tutto a tacere, smontando l’ipotesi avvelenamento: “Le analisi non ci inducono ad affermare che Arafat sia morto avvelenato con il polonium 210”, dice il rapporto. Piuttosto, argomentano i francesi, quel polonio trovato nei tessuti è una contaminazione esterna da radon, un gas molto pesante che si trovava nell’ambiente.
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“Arafat è stato ucciso perchè era troppo nazionalista e troppo consapevole del significato storico e religioso della Palestina, per accettare di divenire il capo di una nuova piantagione coloniale”, dice Bazian. Scrive poi che dopo la Prima Guerra del Golfo era emerso un “nuovo ordine” che normalizzava le relazioni tra Paesi arabo- islamici ed Israele. Cooperazione economica, militare, strategica per una nuova elite politica. La tesi è che Arafat sia stato fatto fuori da traditori del suo circolo più ristretto, “manovrati da Israele e dal nuovo ordine arabo che aveva investito troppo per preoccuparsi della vita di un vecchio uomo di Palestina”.
(Osservatorio Medio Oriente di ilaria De Bonis)